Servono le donne nei board delle aziende?
È una domanda a cui offrire una risposta pone rischi elevati.
Il primo aspetto da considerare è quello etico. Dato per assunto (almeno per il sotto scritto) che uomini e donne sono uguali detentori degli stessi diritti e doveri, anche in ambito lavorativo, non dovrebbero esserci differenze.
Uso il condizionale perché, fin troppo spesso, vi sono casi di discriminazione, nell’ambito lavorativo, tra gli stipendi maschili rispetto a quelli femminili. Persino di recente in un’industria piuttosto sotto i riflettori come quella di Hollywood si è notato come le differenze di paga tra uomini e donne sono manifesti.
Credit Suisse ( immagine qui sopra) già nel 2014 (con dati storici sino al 2013) mappava lo scenario dei board misti descrivendo una serie di aspetti positivi. Sorprendentemente (malgrado si pensi spesso diversamente) il report tracciava un 17% di donne nei consigli di amministrazione italiani (contro una media del 12%).
Ora resta da vedere, al netto delle quote rosa, se sia veramente significativo l’apporto che le donne possono dare ad un consiglio di amministrazione.
“Storicamente sono sempre stata contraria al tema delle quote rosa, fa effetto panda e porta a strumentalizzare il fatto che ti trovi in una posizione apicale perché donna. Sono invece sempre stata convinta del valore della meritocrazia.” Mi spiega Carolina Gianardi, responsabile Marketing Strategico di Poste Italiane e Fondatrice di PWN (Professional Women Network) Rome.
Management innovativo e Hybrid Competences
Nella mia esperienza come imprenditore, e ancor più come membro…