di Lorenzo De La Feld, Associate Partner yourCEO, e Matteo Alessi, Associate Partner yourCEO
In un recente articolo il nostro collega Andrea Mastrorilli ci ha recentemente dettagliato la figura del CEO in una PMI, il perchè della sua importanza. Oggi, insieme a Matteo Alessi e Lorenzo de la Feld, andremo invece ad ascoltare il loro punto di vista su quali possano essere le “origini” di questa figura in modo che risultino funzionali alla crescita delle nostre PMI.
Lorenzo qual è il tuo vissuto in merito al reclutamento “standard” di una figura CEO?
“Nell’ ultimo dei miei colloqui da Manager “permanent”, venni contattato da un noto player Internazionale del Recruiting e dopo quello che avrebbe dovuto essere uno scrupoloso screening iniziale, mi ritrovai tra le 3 candidature selezionate per un colloquio in presenza nella sede centrale a Milano. Avevo tutti i requisiti formativi, anagrafici, linguistici, psico-attitudinali necessari a ricoprire la posizione di Country Manager di una nota azienda francese tranne…l’esperienza pregressa direttamente nel settore food! Io però venivo dal mondo della carta e della plastica! In realtà non si trattava semplicemente del food…si parlava di food “fresco”! Per ulteriore precisione non uno dei tanti micro settori del food “fresco”…ma quello delle insalate in busta! In Italia in quel periodo esistevano forse 3 players in quell’ambito e per trovare quel profilo il cacciatore di teste, se l’intento era solo quello di portare qualcuno che avesse già fatto quel mestiere, avrebbe dovuto solamente andare a “rubare” il manager da uno degli altri due concorrenti, indipendentemente da tutto il resto. Uscii da quell’incontro ovviamente deluso e contrariato, con qualche serio dubbio sul percorso di screening che avevo “subito”. Dopo aver già espresso le mie perplessità a voce a chi mi aveva colloquiato, scrissi una mail al CEO Italia di quella realtà. A tutti i miei diversi interrogativi, punti di vista ed argomentazioni ottenni un laconico…”ha ragione ma il cliente ci ha chiesto così!”
Correva l’anno 2009 e lo ricordo in maniera molto chiara perchè decisi dopo quella (ennesima) esperienza di intraprendere un percorso di libera professione, sicuramente più complicato e non certo caratterizzato da monotonia, che oggi mi ha portato a ricoprire ruoli di rilevanza, a impostare e realizzare progetti di una certa complessità in 8 disparati settori, pur rimanendo ancorato alle mie skills in ambito Sales-Marketing ”.
Forse l’approccio “più comune” è che mentre figure come il CFO o l’HR manager vengono considerati funzioni più trasversali ai diversi settori, i CEO (o le funzioni dirigenziali/apicali dell’ambito organizzativo) sembra debbano conoscere molto bene ed aver avuto esperienza nel settore in cui si è chiamati ad operare. Questo tipo di approccio porta a mio parere inevitabilmente a creare autoreferenzialità che non fa evolvere il Manager e meno ancora l’azienda, soprattutto una PMI. Questa dinamica risulta un elemento molto rischioso in un periodo come questo che vede molti ambiti in radicale cambiamento o ripensamento anche del proprio modello.
Matteo, qual è il tuo pensiero a riguardo?
“La visione che Lorenzo ed io condividiamo è che questo tipo di approccio possa in molti casi essere limitante se non addirittura pericoloso.
Come capita spesso non si può generalizzare e dipende molto dal tipo di azienda di cui si sta parlando, dal suo posizionamento nel settore, dal suo stadio di sviluppo e dai suoi obiettivi ma riteniamo che nella maggior parte dei casi sarebbe assolutamente necessario selezionare un CEO che non venga esattamente dallo stesso settore, magari almeno “contiguo”.
Se l’azienda è una start-up o un player minore all’interno del settore di riferimento potrebbe essere corretto scegliere una figura apicale che possa aiutare l’azienda stessa a raggiungere gli standard del settore. Se però l’azienda è già attiva da tempo e magari vuole cambiare qualcosa del proprio settore, evolvere oltre quello che è il suo posizionamento attuale e innovare, allora forse farebbe meglio a valutare l’inserimento di qualcuno che possa portare una visione nuova, derivante da un’esperienza in un settore complementare o in taluni casi addirittura totalmente “diverso”.
A sostegno di tutto ciò-aggiunge Lorenzo- in ambito Lean questa “saggia” pratica era già stata concepita a metà del secolo scorso riferendosi al principio di Kaizen e quindi del miglioramento continuo: al fine di poter essere critici nei confronti di un determinato processo e per rilevarne le inefficienze era più fruttuoso se a fare l’analisi erano persone esterne al “sistema” e non solamente chi quel processo lo vive quotidianamente magari da 5-10-20 anni.
Anche nelle storie di successo più recenti ci sono stati dei condottieri che hanno sostenuto questa tesi. Queste sono le parole di un CEO di una certa caratura…Sergio Marchionne:
In un’azienda con un buon livello di struttura e organizzazione i capi funzione sono quelli esperti del proprio prodotto e/o delle dinamiche del settore, quindi il CEO deve essere colui il quale porta una visione esterna, proveniente da ambienti diversi, qualcuno che permetta all’azienda di fare mosse (diverse) per prima perché le ha già viste/provate in un altro settore.
Matteo hai qualche altro esempio attuale o recente? Qualche esperienza di vita vissuta?
“Volendo prendere qualche esempio dalle grandi aziende, dando quindi un’occhiata ad alcuni CEO con esperienza intersettoriale, vedremo che hanno avuto successo in altri settori senza alcuna esperienza pregressa. Alan Mulally ha lavorato nel settore aereo (Boeing) ma si è anche dimostrato un CEO di successo nell’industria automobilistica (Ford). Allo stesso modo, Daniel Akerson, è cresciuto nel settore della tecnologia e delle telecomunicazioni, ma ha avuto molto successo come CEO della società automobilistica General Motors. Bob Wright, capo di GE Capital, ha gestito la società di media NBC. È ovvio che il successo di questi CEO non ha avuto nulla a che fare con le competenze settoriali e questi iconici CEO hanno avuto successo grazie a vari fattori, in particolare la loro capacità di leadership che è trasferibile da un settore all’altro.
Alcune capacità di leadership sono comunemente richieste per guidare, indipendentemente dal settore e dall’ambiente. I CEO con capacità di leadership trasferibili possono avere successo in qualsiasi settore e ambiente poiché hanno una mentalità, un set di abilità e un set di strumenti unici per guidare le organizzazioni.
Inoltre, sono visionari con la capacità di creare team efficaci e lavorare sotto pressione, specialmente in ambienti aziendali globali volatili, incerti, complessi e ambigui.
L’esperienza intersettoriale aiuta i dirigenti di alto livello a prendere il meglio di tutto e scartare il resto. Li aiuta a pensare da più prospettive e a promuovere il pensiero fuori dagli schemi. I CEO dello stesso settore spesso tendono a pensare da una prospettiva simile e a utilizzare strumenti e tecniche di routine collaudati. Al contrario, i CEO con esperienza intersettoriale dimostrano adattabilità e flessibilità ed esplorano nuovi strumenti e tecniche di leadership.
Volendo citare un esempio vissuto, Alessi S.p.A. nel 2015 ha selezionato un CEO che veniva dalla moda perché nel settore non c’era nessuno che aveva ancora risolto i veri temi da affrontare. Alessi aveva capito che doveva diventare più customer centrica e trovare nuove modalità di sfruttare il digitale per “comunicare” con il proprio pubblico, nessuno nel settore dei casalinghi aveva questo tipo di esperienza. L’unica soluzione è stata guardare al di fuori del settore ed andare a cercare qualcuno che venisse da un ambiente in cui l’evoluzione di cui aveva bisogno l’azienda era già stata fatta, qualcuno che potesse portare con sé l’esperienza di cui c’era bisogno e che fosse in grado di appoggiarsi agli esperti del settore già presenti in azienda per adattarla al caso specifico
Ad ulteriore supporto di questa tesi ci viene la “cronaca economica” recente in cui diversi fondi di investimento, quando in un’ottica di diversificazione acquisiscono aziende spesso appartenenti all’universo PMI, “piazzano” manager di loro fiducia che tendenzialmente non hanno alcuna competenza specifiche del settore in questione; eppure sono capaci spesso di rilanciarle apportando una nuova visione e un vento di novità in tutti i comparti aziendali.
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