di Alfredo Gamberini, Senior Advisor yourCEO
Era una domenica mattina, i genitori avrebbero concluso la fiera dopo 5 lunghi giorni e quella mattina decisero di portarlo con loro; in fondo si sa che la domenica in quel genere di fiere ci vanno solo i curiosi, gli affari veri si fanno nei giorni precedenti mica l’ultimo giorno, si potrà quindi portare un ragazzino di 10 anni a scorrazzare nei padiglioni, no? Nello stand si respirava l’aria di festa, uno stato di ebrezza di quel che potrà succedere che poi quel ragazzino ritrovò con la stessa forza e vigore in ogni fiera che fece da adulto in giro per il mondo. A un certo punto si presentò un signore che, divertito e incuriosito dalla presenza del ragazzino nello stand, gli si avvicinò e gli chiese ‘scusami, mi sai indicare a quale pressione e cilindrata lavorano questi componenti?’. Il ragazzino, educato all’uopo, rispose ‘attenda un attimo che chiedo’ e si precipitò dal padre, ingegnere vero, a chiedere lumi. Il padre, senza scomporsi, accese la pipa – all’epoca si poteva fare – e preso un pezzo di carta si mise a spiegare al ragazzino perché due ingranaggi potevano intrappolare l’olio alla pressione atmosferica e trasferirlo a una pressione superiore così da far funzionare un cilindro per sollevare una pala caricatrice. Il bambino a suo modo capì che i bar non erano solo quelli per strada ma che erano anche una forza diviso una superficie e stavano a indicare una pressione e quella quantità di olio, trasferito da una parte all’altra dei due ingranaggi, dipendeva dalla geometria delle ruote dentate stesse e si chiamava cilindrata. Il ragazzino con aria professionale tirò un sospiro e sotto l’occhio assolutamente rilassato del padre ritornò dal signore che, incuriosito dall’insolita coppia di tecnici, aveva aspettato una decina di minuti. Non fu molto importante la risposta, temo traballante e piuttosto zoppicante, ma sta di fatto che l’uomo ascoltò il bambino, lo ringraziò come si confà tra adulti e si toccò il cappello a salutare il genitore, restato lontano e in disparte, prima di andarsene.
Il passaggio generazionale comincia da lontano. A lungo ho pensato a come approcciare l’argomento calandolo in modalità Fractional Executive, di come un yourCEO può agevolare a gestire il cambio al timone dell’azienda ben sapendo che aiutare solo a tenere la barra dritta e ben stretta, al passaggio di mano, porta presto o tardi a sbattere sugli scogli per chi non sa di deriva e di scarroccio. In azienda sapere leggere le correnti e tener conto del vento, significa poter dare al timone gli aggiustamenti di rotta che quel tratto di mare, in quel frangente, impone. I letterati le chiamano soft skills, qualità relazionali e gestionali imprescindibili del Fractional Executive e necessarie per affiancare l’imprenditore, il designato o la designata, per suggerire al meglio i tempi e le fasi dell’agognato passaggio di consegne. Ma chi è il Fractional Executive? E’ un professionista della managerialità, ed è un portatore sano, nelle aziende in cui opera, di competenze operative e di network. E’ un manager in grado di dare all’organizzazione nella quale si cala, capacità ed esperienze acquisite dopo anni di azienda spesso ricoprendo ruoli apicali. L’imprenditore va aiutato ad essere lungimirante anche su questo tema perché per tempo deve dotare la propria impresa di una forma di governance dove privilegiare competenze e managerialità, assecondando le inclinazioni dei componenti della famiglia coinvolti in azienda, cercando di portare oggettività e meritocrazia nel giudizio per il bene loro e del futuro dell’organizzazione. Il Fractional Executive, grazie all’elevata seniority guadagnata in contesti diversi, può giocare un ruolo di fondamentale importanza nell’aiutare e nel consigliare l’imprenditore, nell’organizzare e predisporre al meglio e con la necessaria obiettività gli assetti futuri, conducendo in prima persona qualche passaggio critico e di non facile soluzione per la famiglia per via dei legami e delle aspettative mai comunicate, sempre rimandate o mai affrontate. Il Fractional Executive può gestire una condivisa strategia di Age Management che consenta di valorizzare l’apporto degli ‘uomini della squadra del padre’ (o della madre) nel quadro di una proficua integrazione con le professionalità più giovani magari afferenti alla seconda o terza generazione. Potrà essere fondamentale per condividere e definire con la proprietà le regole e i tempi del passaggio del testimone al leader prescelto, tenendo conto dello stato futuro delle quote societarie e dei futuri equilibri familiari.
Il problema è culturale e va affrontato per tempo perché spesso quando si capisce che non si può più differire ci si muove prendendo strade e scorciatoie non sempre efficaci. Ci sono passaggi di consegne, a virgulti oramai cinquantenni, affidati a video proiettati in azienda a beneficio dell’orbe terraqueo, terze generazioni messe in posizioni di una qualche responsabilità che aspettano i pranzi domenicali per discutere col nonno di cose operative senza pensare che così facendo, non bussando all’ufficio del presidente in orario di lavoro come fanno tutti, mai nessun collaboratore potrà con loro collaborare per davvero. Che dire di giovani laureate, declino al femminile di proposito visto che sembra essere uno standard non si sa bene per quale motivo, messe senza alcun tipo di esperienza a capo della comunicazione, del marketing o peggio ancora dell’HR non percependo che le risorse umane sono quanto di più delicato possa esserci in azienda solo per il fatto di avere a che fare con il presente e il futuro delle donne e degli uomini dell’organizzazione. Separare sempre ciò che è impresa da ciò che è famiglia. Il problema, nei modi e nei tempi, va affrontato quasi sempre dal punto di vista culturale e in questo i partner YOURgroup possono concorrere nel preparare, con l’imprenditore e la sua famiglia, le condizioni idonee per il passaggio del testimone. Per quanto possibile ho sempre consigliato di mandare, l’ancòra implume, a fare esperienze in esterno prima di immetterlo in azienda. L’imprenditore capisce bene l’importanza di far planare nella sua organizzazione una seconda o terza generazione per certi versi già strutturata, ma non sempre trova la forza per consigliare, e obtorto collo pretendere, tale esperienza. Difficilmente un figlio o una nipote potranno avere le stesse caratteristiche del fondatore dell’impresa, ma aver fatto esperienze significative esterne all’organizzazione permette, una volta arrivati in azienda, di mostrare competenze nuove e diverse, punti di vista differenti e leadership altrettanto valide ma declinate diversamente rispetto a quella del fondatore. Così le seconde e terze generazioni potranno differenziarsi agli occhi dei componenti dell’organizzazione, guadagnare standing e affrancarsi dalle naturali aspettative di chi, negli occhi e nella memoria, ha le gesta di chi l’impresa l’ha creata.
Ah una precisazione sul ragazzino di inizio articolo. Beh quello ero io, e quel signore, che non vidi per almeno 15 anni, diventò il concessionario più importante dell’azienda dei miei genitori. Riuscii a lavorare con lui e coi suoi figli dopo la laurea e per anni, quando ci si vedeva, la gag era di chiedermi se alla fine degli studi di ingegneria meccanica avessi poi imparato la differenza tra area e volume, segno che più della spiegazione del bambino poté l’atteggiamento del papà, che mai ringrazierò abbastanza per quell’insegnamento. E non solo per quello.